IT12CR22

AS (2012) CR 22

 

Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2012

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(Terza parte)

ATTI

della ventiduesima seduta

Martedì 26 giugno 2012, ore 15.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

Renato FARINA (Italia, PPE/DC / EPP/CD)

(Doc. 12948, Doc. 12951, Doc. 12944)

Grazie Presidente.

I tre rapporti che sono a tema oggi, qualificano il Consiglio d’Europa, riflettono la sua cultura sorgiva: la centralità della persona. Io, in questa affermazione, riconosco il cuore dell’Europa.

Anche e soprattutto durante questa drammatica crisi va tutelata la persona intesa come “essere in relazione”, homo relatus, in ispecie i più indifesi. E qui applaudo a tutti e tre i relatori. Dissento però sulle tutele e sui rimedi proposti dal rapporto del collega HUNKO, del quale rispetto la passione.

Tre punti. Primo: la crisi non è una fatalità, non è un incidente, non deriva da errori di manovra ma da una forte caduta morale. Le difficoltà economiche gravissime sono frutto di una caduta morale profonda. Il valore della persona è stato dichiarato in teoria e tradito in pratica. La politica ha contraddetto se stessa. Ha affermato il valore della persona sulla carta, poi però ha consentito il dominio di un fascismo finanziario, ha assecondato l’egemonia anche culturale della finanza.

Che cosa ha fatto la finanza? Con la voce di numerosi premi Nobel dell’economia americani ha annunciato al mondo con presunzione prometeica di aver scoperto il fuoco degli dei, l’algoritmo del profitto eterno, il denaro che crea denaro che crea denaro.

Che fare? Il rimedio è solo un recupero della centralità della persona e del lavoro umano. Un’alleanza nei popoli e tra i popoli con la politica. Occorre recuperare e rivivere l’energia vitale che viene dalle nostre radici cristiane, liberali e umanistiche. Ridare spazio alle energie buone della società, rivalutando il principio di sussidiarietà. Io credo -e salto molti argomenti per dimostrarlo- che per questo sia giusto e indispensabile, contro l’austerità soffocante, che la Banca centrale europea diventi garante in ultima istanza dei debiti sovrani, che la Germania dica sì agli eurobond. Il fatto è che o ci salviamo tutti o moriamo tutti. L’alternativa a queste due ipotesi non c’è.

Qual è il difetto del rapporto HUNKO secondo me? Egli dice di volere l’economia sociale di mercato, ma in realtà nelle sue proposte c’è uno statalismo che profuma di vecchio socialismo, direi quasi -parafrasando Stalin di “socialismo in un solo continente”. Sbagliato, sbagliatissimo. Non può essere un morto, cioè il socialismo, a salvare il mondo. Non può essere la rievocazione nostalgica dell’età dell’oro del welfare europeo a essere la via d’uscita. La via d’uscita è la persona, le sue relazioni buone, un’economia che rinasca con le energie delle famiglie e della società, con meno burocrazia e con la finanza a cui la politica impedisca di rapinare i popoli.

Grazie.

Federica MOGHERINI REBESANI (Italia, SOC)

(Doc. 12948, Doc. 12951, Doc. 12944)

Grazie.

Grazie soprattutto perché credo sia importante che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa abbia l’opportunità di svolgere questo dibattito su questi tre ottimi rapporti proprio nel momento in cui i nostri parlamenti nazionali -ed è il caso dell’Italia proprio oggi- affrontano il tema delle misure per uscire efficacemente dalla crisi. Misure che possono essere efficaci soltanto se coordinate a livello sovranazionale.

E lo facciamo in un momento particolarmente cruciale anche per l’eurozona, per l’Unione europea, alla vigilia di un importante Consiglio europeo. Importante per la vita di tutte le società che sono coinvolte nel continente.

In termini generali credo che il ministro dell’Economia islandese stamattina ci abbia ricordato alcuni principi fondamentali che spesso tendiamo a dimenticare. Primo: non aspettare. La crisi non si risolve da sola e perdere tempo aggrava soltanto la situazione. Noi in Italia ne sappiamo qualche cosa. Secondo: preservare il sistema di welfare e mantenere il potere di acquisto soprattutto delle fasce più deboli delle nostre società. Terzo: bilanciare misure di serietà di bilancio con misure sia per la crescita sia per l’istruzione e la formazione, perché solo queste sono le misure possibili per uscire efficacemente e in modo duraturo dalla crisi. Quarto: spiegare con parole di verità e di responsabilità quello che sta succedendo alle nostre opinioni pubbliche. Quinto: avere sempre in mente l’équità. Chi ha di più deve dare di più.

Sui giovani e sull’ottimo rapporto di VOLONTE vorrei fare soltanto tre sottolineature. Primo: non è soltanto più la questione di una generazione persa, ma si tratta ormai di diverse generazioni. Si è giovani dal punto di vista lavorativo, dal punto di vista dell’esclusione dal mondo del lavoro fino a 40-45 anni, fino a quando si arriva all’età in cui ci si rende conto che non si ha diritto a una pensione. Si passa dalle precarietà al realizzare che non si ha neanche più la certezza nell’età più avanzata. L’emergenza si sta espandendo e se non diamo una risposta a questo grido di allarme, c’è il rischio che alla crisi economica si aggiunga, come già sta succedendo, una crisi politica, una crisi democratica, di rappresentanza. La risposta deve essere senz’altro quella di offrire lavoro stabile, qualitativamente corrispondente ai livelli di istruzione e di qualificazione dei giovani e con un reddito adeguato.

Seconda sottolineatura: c’è un’emergenza nell’emergenza. C’è una parte che è più persa del resto delle generazioni: sono le giovani donne, che soprattutto in tempi di crisi economica si trovano sempre più strette tra la necessità di scegliere tra il lavoro e la famiglia, in un momento in cui i tagli agli enti locali tagliano anche i servizi sociali, tanto importanti per le giovani donne.

Terzo: il rapporto dice giustamente “implementare le politiche per le famiglie”. Vorrei dire su questo due cose brevemente. Primo, io direi “per tutte le famiglie”. Ormai sappiamo che la diversità delle famiglie sul territorio europeo è molto ampia e tutte vanno sostenute e aiutate. E, secondo, farlo davvero. Perché questo tema purtroppo è troppo spesso un tema di campagna elettorale su cui si fa facile retorica, ma poi quando si arriva al governo non si trovano le risorse per farlo. C’è bisogno di politiche serie, sostenibili e durature per sostenere tutte le famiglie nel nostro continente.

Grazie.

Andrea ZAFFERANI (San Marino, ALDE/ADLE)

(Doc. 12948, Doc. 12951, Doc. 12944)

Grazie Presidente.

Ringrazio i relatori per questi validi rapporti su un tema che oggi è fondamentale. Il dibattito a mio parere non è fra disciplina di bilancio e crescita, ma su come cercare di ottenere l’uno e l’altro. Uno dei pochi modi per farlo è andare a valutare la qualità di ciò che si fa, non solo la quantità. Ce lo ha spiegato moto bene in precedenza il ministro islandese. Non è indifferente tagliare l’istruzione piuttosto che tagliare le spese assistenziali o le spese amministrative. Non è indifferente tagliare le spese per la ricerca e lo sviluppo o quelle per l’occupazione femminile piuttosto che tagliare le spese per le pensioni elevate o gli stipendi pubblici elevati. Non è indifferente aumentare le tasse a tutti o selezionare i destinatari dell’inasprimento. Non è indifferente aumentare le imposte sui redditi o sui patrimoni.

È la qualità che fa la differenza. Ed è l’unico modo per non avere effetti perversi, o comunque averne meno, quando si interviene in epoca di necessità di riduzione del debito pubblico. Ridurre molto certe spese, e addirittura aumentarne altre, quelle utili alla crescita di lungo periodo, usare le imposte non per la spesa corrente ma per aumentare la produttività, l’istruzione, il livello tecnologico, le infrastrutture materiali e immateriali: solo così si faranno politiche davvero a favore dei giovani. Tutti, a partire dalle istituzioni europee e dalla Troika, dovrebbero capirlo. Ma soprattutto dovrebbero capirlo i governi che devono avere le idee chiare su come uscire da queste difficoltà senza mettersi nella comoda posizione di farsi dettare da altri l’agenda per non rischiare di perdere troppo consenso.

La parola d’ordine è scegliere e i governi devono prendersi oggi la responsabilità di farlo. Ma significa scegliere anche in un’ottica intergenerazionale toccando alcuni privilegi degli adulti per dare un futuro ai giovani. In tempi di difficoltà anche una buona distribuzione dei sacrifici è strategica.

Rossana BOLDI (Italia, EDG/GDE)

(Doc. 12948, Doc. 12951, Doc. 12944)

Grazie Presidente.

Molte volte, anche prima dell’esplosione della crisi economica, ci siamo trovati qui a discutere della crisi della democrazia in Europa, del distacco tra cittadini e istituzioni europee e della necessità di rendere gli europei più partecipi delle decisioni che li coinvolgono direttamente e pesano sulle loro vite.

Oggi credo che possiamo affermare con certezza che questo disagio si è ulteriormente acuito e a farne le spese sono soprattutto i nostri giovani. La piaga della disoccupazione colpisce duramente l’intera Europa. Il mio paese non è scevro, anzi è molto colpito e lo stesso rapporto dell’ONU evidenzia che nel vecchio continente i programmi di austerità fiscale non stanno che peggiorando la crisi del lavoro.

Stiamo rischiando di mandare verso derive anche pericolose un enorme bacino di giovani che non vedono per loro un possibile futuro. I giovani europei non sono mai stati così istruiti eppure un giovane europeo su quattro è disoccupato. Questi giovani non capiscono perché dobbiamo salvare le banche e non il loro futuro, perché dobbiamo dare denaro alle banche che poi non lo reinvestono, se non in una minima parte, nel mondo del lavoro.

La crisi e la sua gestione, come è stata proposta fino ad ora, sta minacciando di distruggere soprattutto il modello sociale europeo, un modello che garantisce diritti individuali indispensabili, parlo di salute, di assistenza, di istruzione, di formazione e che caratterizza da sempre la diversità dell’Europa da buona parte del resto del mondo. Credo che noi non possiamo, e sto parlando all’Assemblea del Consiglio d’Europa, rinunciare a questo.

Una politica di austerità, quindi, da sola non è sufficiente. Ci stiamo letteralmente avvitando nella crisi. L’aumento sproporzionato delle tasse, collegato ai tagli fortissimi che devono essere fatti -e devono essere fatti- per ridurre il debito innesca perdita di posti di lavoro che porta a sua volta una diminuzione del PIL, che a sua volta porta alla recessione e ricominciamo daccapo.

Credo che la nostra Europa sia malata di summit, malata di vertici che non riescono mai a decidere niente. Se noi non riusciremo a portare delle soluzioni -e qui ne sono state date molte e tutte molto valide- io credo che l’Europa perderà la credibilità. Quindi dobbiamo assolutamente trovare delle soluzioni.

Grazie.

Luca VOLONTÈ (Italia, EPP/CD PPE/DC)

(Doc. 12951, Risposta agli oratori)

La ringrazio, Presidente, e ringrazio i colleghi che hanno partecipato a questo importante dibattito.

Mi sembrerebbe offensivo per alcuni non citarli e quindi ringrazio veramente tutti perché tutti hanno avuto una parola di attenzione e d’incoraggiamento per il lavoro da noi svolto sul rapporto dei giovani come sui rapporti dei miei colleghi, cercando di toccare molti aspetti dell’attuale crisi in cui da anni ormai versa il nostro continente. In particolare ringrazio tutti coloro che si sono occupati del tema dei giovani partendo dall’affermazione che più mi ha colpito, da parte del ministro delle Finanze islandese: “Non è tempo di aspettare, dipende da quello che ogni singolo paese decide di fare”.

E dico a molti colleghi che sono intervenuti: noi abbiamo cercato di parlare di questo argomento, di invitare i nostri governi a fare qualcosa, e non a limitarsi esclusivamente a fare qualche dichiarazione di buone intenzioni, già dallo scorso anno per esempio, approvando un rapporto specifico sul problema del disimpiego e della mancanza di occupazione per i giovani. Una nostra collega croata approvò, portò e fu la relatrice di questo rapporto nel mese di ottobre dello scorso anno. Abbiamo posto l’attenzione sul tema delle giovani famiglie nel rapporto approvato all’unanimità, e lo ricordo alla collega MOGHERINI, che non ero ancora membro di questa Assemblea parlamentare, addirittura nell’aprile del 2010.

Quindi, per tempo abbiamo segnalato alcune difficoltà col rapporto sulla povertà e tanti altri rapporti, e volevamo attirare l’attenzione dei nostri governi proprio perché la prospettiva di un prosieguo drammatico della crisi già si profilava all’orizzonte. Oggi torniamo a mettere un punto sulla questione dei giovani. Lo ha fatto anche qui sette o otto mesi fa la collega KOVACS parlando proprio del tema dei giovani. Lo riprendiamo qui ripetendo ancora una volta e con maggiore enfasi se è possibile farlo, davanti ai dati che ormai sono come un pugno nello stomaco davanti a tutti noi e davanti ai nostri governi, che i disoccupati non diminuiscono, non diminuisce la mancanza d’inserimento dei giovani nella società. La loro voglia di protagonismo rimane sempre più frustrata. Lo diciamo con un titolo scioccante, scelto di proposito: “Abbiamo sacrificato una generazione di giovani”.

“Una” non per dire che si tratta di una sola generazione. Infatti, man mano che procede questa scala di disattenzioni, di buoni intendimenti e di cattive azioni, di buone intenzioni e d’inerzia, più prosegue questo stato di fatto, tanto più numerose saranno le generazioni colpite. Non è che si fermano. Non è chi aveva vent’anni nel 2007 e nel 2008, oggi sia sparito. Ci sono i fratelli che hanno le stesse difficoltà, ma in maggior numero. Allora il messaggio che vogliamo dare non è quello di aspettare, non è quello di essere dimenticati: è quello di proseguire con forza a dire possibilmente alzando ancora di più la voce, con rispetto ma con forza, ai nostri governi che è tempo di intervenire. Che non si può più aspettare in nessun modo perché fare bene talvolta quello che viene chiesto anche dal nostro lavoro di Assemblea parlamentare, può provocare delle reazioni benevole: fare bene può fare del bene anche alla società dei nostri paesi. Mentre mettere le nostre raccomandazioni sotto il tavolo, può complicare le situazioni più che agevolarle.

E voglio dire ancora di più: com’è già stato detto da molti di voi, qui non si tratta solo del fatto che temporaneamente ci siano milioni di giovani che non hanno una prospettiva di lavoro. È un problema, ovviamente. Ma noi non vogliamo guardare ai giovani solo sotto l’aspetto della produttività. Sarebbe come dire: siete tagliati fuori dal mercato. Cioè, siete tagliati fuori da una società che pensa a se stessa come se fosse un mercato. Il che è esattamente quello che noi critichiamo, cioè l’ultraliberalismo in cui abbiamo vissuto. Noi guardiamo ai giovani a 360°: il loro desiderio di vita, la loro genialità, la loro voglia di cambiare il mondo, la loro voglia – per chi vuole e per chi ha questo desiderio – di avere una famiglia, di allevare dei figli, di cambiare la propria società, di essere protagonista nelle decisioni: tutto questo aspetto della vita nostra e dei giovani, è completamente cancellato dall’agenda ma rimane davanti a noi perché si tratta dei nostri fratelli, dei nostri figli, del nostro futuro.

Questo è il punto fondamentale che avete fatto emergere in questo dibattito e noi abbiamo discusso grazie anche allo stimolo e all’impegno di tanti commissari e della commissione nell’ultimo anno sul tema dei giovani. Per quello diciamo che c’è una conseguenza drammatica a questa crisi: siamo di fronte a una generazione che è sacrificata e, volenti o nolenti, noi siamo i protagonisti di questo sacrificio.

Però il dibattito di oggi e, auspico, l’approvazione ci hanno dato un grande vantaggio: che al di là dei numeri prendiamo atto come Consiglio d’Europa che questa è una drammatica sfida per il nostro futuro e vogliamo, dopo averne preso atto e preso coscienza, invitare con forza i nostri governi ad agire. Non più a riflettere su cosa sta capitando, ma ad agire per evitare non solo che capiti ma che possa trovarsi anche una soluzione. E questa è la ragione per le diverse misure, è la ragione per cui ho accolto in gran parte tutti gli emendamenti positivi che sono stati fatti in Commissione, perché vogliamo il più possibile ottenere non solo un consenso in generale ma un consenso su una cosa positiva che è il lavoro da noi svolto.

Certamente questo significa più attenzione nelle singole misure, vuol dire certamente più solidarietà intergenerazionale, vuol dire certamente una migliore organizzazione delle finanze e anche delle misure economiche e della qualità dell’educazione a supporto dei giovani. Siamo entrati in un dilemma: mobilità, flessibilità necessaria. Avevamo detto tutti noi negli ultimi dieci anni: “Senza flessibilità non ci sarà futuro”. Ma purtroppo molti di noi e molti dei nostri governi hanno scambiato flessibilità con precarietà permanente. E quindi non si tratta più di flessibilità ma di un handicap che normalmente appioppiamo alle giovani generazioni cui chiediamo un contributo senza nemmeno dar loro la possibilità di costruire un piccolo gradino verso il loro futuro.

È questo, come tanti altri problemi, che vogliamo mettere in evidenza ed è a questo e a tanti altri problemi che vogliamo dare o almeno cercare di dare un contributo di risposta. Vogliamo farlo con l’approvazione di questa risoluzione, con l’approvazione della nostra raccomandazione per ribadire che dalle parole è necessario e urgente passare ai fatti perché le soluzioni non vanno demandate a domani: se non si comincia mai dall’oggi a preparare le soluzioni di domani, il domani delle soluzioni non arriverà mai. E tra un anno o tra due, in sede di follow-up di questo tema e quando si riconsidererà l’investimento per le famiglie per aumentare la coesione sociale, ci troveremo qua, constateremo che abbiamo fatto un bel lavoro ma purtroppo dovremo anche dire: i nostri governi di questo bel lavoro non hanno fatto nulla perché avevano altro a cui pensare. Altro che non c’entra niente o c’entra poco talvolta con i bisogni reali dei nostri concittadini. E poi, ovviamente, siamo i primi a lamentarci se i nostri concittadini non seguono la politica con entusiasmo e cercano altre vie d’uscita e di rappresentanza.

Voglio concludere rinnovando i miei ringraziamenti per la vostra attenzione e voglio anche assicurarvi che per quello che mi sarà possibile in occasione dell’incontro di San Pietroburgo con il Comitato dei 47 Ministri del Consiglio d’Europa che si occupano di questi temi e dell’Assemblea dei giovani certamente io sarò il portavoce di tutti voi e penso di poter essere grazie a voi anche il portavoce di qualche risoluzione utile per i nostri cittadini. Grazie.

Luca VOLONTÈ (Italia PPE/DC / EPP/CD)

(Doc. 12951, Sub-Emendamento orale all’Emendamento 3)

Si, questo è il sub-emendamento, Presidente. È già stato approvato dalla Commissione all’unanimità con il parere favorevole non solo della Commissione ma anche del presentatore.

Grazie

Luca VOLONTÈ (Italia PPE/DC / EPP/CD)

(Doc. 12951, Sub-Emendamento orale all’Emendamento 4)

Sì, l’abbiamo già depositato e come lei ha nelle sue mani. Volevamo fare una riformulazione della seconda parte del paragrafo, citando dopo Internet la tecnologia digitale e le opportunità conseguenti. C’è un accordo anche qui con il proponente ed è stato accolto all’unanimità dalla Commissione.

Luca VOLONTÈ (Italia PPE/DC / EPP/CD)

(Doc. 12951, Emendamento 5)

È già stato illustrato dal collega JAUREGUI, questa è l’intesa che abbiamo trovato in Commissione, soprattutto per il rispetto delle legislazioni nazionali in materia di orari di lavoro. Quindi d’accordo sul concetto e d’accordo anche sulla riformulazione.

Grazie.

Deborah BERGAMINI (Italia, EPP/CD / PPE/DC)

(Doc. 12956)

Grazie Presidente.

Voglio fare subito i complimenti alla cara collega KYRIAKIDOU che con questa risoluzione affronta un tema molto complesso perché determinare la situazione delle donne musulmane in Europa in questa fase storica in particolare non è un lavoro semplice, ci sono molte complessità e differenze e bisogna sempre evitare il rischio di ogni genere di superficialità.

Però è certa una cosa: il lavoro della nostra Assemblea deve concentrarsi, e lo ha già fatto in passato, sull’evitare che si continui a far sì che le donne musulmane in Europa possano soffrire, e lo dice bene il rapporto, di una multipla discriminazione come donne, prima di tutto, come immigranti, soprattutto nel caso di prima generazione e poi, naturalmente, come appartenenti a quella che non è la maggioranza religiosa tra i paesi membri del Consiglio d’Europa e infine ignare dei loro diritti civili, perché questo succede ancora oggi.

Su tutto questo credo che dobbiamo lavorare moltissimo perché questa multipla discriminazione non può che generare isolamento. L’isolamento a sua volta implica che si ha necessità di essere intermediati nel rapporto con il mondo esterno e questo è molto pericoloso perché queste donne spesso non possono scegliere i loro intermediari.

Naturalmente l’isolamento genera quello di cui abbiamo parlato moltissimo, ovvero stereotipi. Voglio ricordare che gli stereotipi sempre, purtroppo, beneficiano di un’inevitabile reciprocità. Su questo credo che il lavoro della nostra Assemblea debba assolutamente concentrarsi: evitare stereotipi, la reciprocità degli stereotipi, perché si tratta del primo impedimento allo sviluppo di un processo di empowerment di tutte le donne europee, non soltanto delle donne musulmane in Europa.

Su questo colgo anche io il principio di fondo di questo rapporto e lo condivido. Qui c’è un’opportunità sulla quale dobbiamo lavorare, non un problema. Anche perché ritengo che in questo momento di crisi economica e di crisi di valori che attraversa tutta l’Europa, le donne, siano esse musulmane o non musulmane, nel nostro continente dovranno affrontare problematiche sempre più similari che le avvicineranno sempre di più, non le allontaneranno. E su questo è preziosissimo un lavoro a livello proprio di dialogo interculturale che il Consiglio di Europa ha dimostrato di saper fare con grandissima capacità e volontà e mi permetto di ricordare anche l’importante lavoro che viene svolto da anni dal Centro Nord-Sud che proprio ha al cuore delle sue attività il dialogo interculturale e che proprio focalizza le sue attività sull’empowerrment, sull’accesso alla vita pubblica delle donne, quale che sia la loro provenienza nel nostro continente.

Quindi grazie e complimenti.

Giuliana CARLINO (Italia, ALDE/ADLE)

(Doc. 12956)

Grazie Presidente.

Le donne, è triste dirlo, ma ancora oggi sono troppo spesso discriminate anche nei paesi europei. Le donne musulmane poi sono costrette a subire una discriminazione plurima in quanto donne, in quanto parte di una minoranza religiosa e in quanto immigrate a volte. Una discriminazione che tocca ogni momento della loro vita, dall’istruzione al lavoro, all’assistenza sanitaria fino alla vita familiare. È ora di intervenire e adottare misure efficaci per assicurare anche alle donne musulmane una vita nella quale possano essere protagoniste consapevoli dei propri diritti e non più soggetti isolati, stigmatizzati e ristretti in un giusto stereotipo.

Solo attraverso un’informazione più attenta e corretta si potrà superare il fenomeno dell’islamofobia ancora presente, spiace dirlo, negli Stati europei. Credo sia necessario da un lato investire e stanziare risorse adeguate al fine di favorire l’integrazione e sensibilizzazione, dall’altro, adottare norme anche penali capaci di vincere la lotta contro questa discriminazione. Si tratta di un’opera complessa ad ampio raggio perché è necessario non solo far comprendere ai cittadini degli Stati europei che le donne musulmane hanno una loro identità che va oltre i noti stereotipi. Ma è altresì indispensabile rendere le stesse donne musulmane più coscienti dei loro diritti e delle loro potenzialità.

Desidero infine soffermarmi sul tema della violenza sulle donne: è notorio in proposito, come il fenomeno della violenza sulle donne in generale continui ad affliggere ogni Stato membro del Consiglio d’Europa a tutti i livelli sociali. Le musulmane in particolare sono spesso vittime di forme di violenza anche all’interno delle proprie famiglie. Pensiamo ai cosiddetti delitti d’onore. È necessario sul punto che gli Stati europei e gli stessi leader musulmani e religiosi condannino pubblicamente ogni violenza contro le donne e in particolare i delitti d’onore e l’atroce pratica delle mutilazioni genitali femminili. L’Italia in proposito che è da sempre attenta al problema della mutilazione, ha istituito presso il Ministero delle Pari opportunità, la commissione per la prevenzione e il contrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile e ha istituito un numero verde e una campagna informativa ad hoc.

Credo quindi che l’esame di questo documento sia un’ottima occasione per ricordare che è importante che tutti gli Stati firmino la Convenzione di Istanbul. Per questo motivo non posso che esprimere il mio parere favorevole a questo provvedimento e sono breve ma lascio il testo integrale.

Grazie.