IT14CR24

AS (2014) CR 24
Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2014

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(Terza parte)

ATTI

Della ventiquattresima seduta

Mercoledì 25 giugno 2014, ore 15.30

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526)

Grazie Presidente, Colleghi.

Mi è stato assegnato dalla Commissione giuridica nel maggio di quest’anno l’incarico di esprimere opinione sulla proposta di risoluzione fornita dalla collega PASQUIER.

Prima di tutto ritengo sia doveroso, anche a nome della Commissione giuridica, ringraziare l’Onorevole PASQUIER per il serio, approfondito e utile lavoro che ha portato avanti in questi anni. La lettura del suo rapporto sulla questione del conflitto nel Sahara occidentale, molto dettagliato e documentato, fornisce una sicura base autorevole per poter approvare oggi in quest’aula una risoluzione che rappresenti un reale e utile contributo alla soluzione della questione sahariana.

Il rapporto fornisce una visione sicuramente completa ed equidistante della situazione, ne evidenzia la complessità degli elementi e delle questioni che non sono risolte e che sono il frutto di una serie di accadimenti stratificati che si sono sviluppati in un arco di tempo troppo lungo. Il rapporto mette in risalto con forza i progressi che sono stati fatti dal Marocco su diverse questioni poste dall’Assemblea del Consiglio d’Europa quando mise il Parlamento del Marocco al Partenariato per la democrazia. Ma con grande e altrettanto equilibrio evidenzia che il percorso per la garanzia dei diritti umani non è ancora concluso.

Presunte violazioni dei diritti umani nel Sahara occidentale – questo è l’aggettivo che viene anteposto alla parola “violazioni” – sono denunciate da rappresentanti di organizzazioni internazionali e da soggetti autorevoli impegnati nella difesa dei diritti umani, che, come si dice nel rapporto, deve essere presa con molta serietà, anche in relazione – e soprattutto utilizzando – la positiva evoluzione della Partnership per la democrazia del Parlamento marocchino. È evidente, però, che l’utilizzo del termine “presunto” indica la concreta difficoltà di avere una visione monitorata della situazione, nonostante il lavoro svolto dal Consiglio nazionale dei diritti umani del Marocco, la cui indipendenza deve essere ulteriormente rafforzata, come viene riferito al punto 99 del rapporto. Di qui la richiesta da parte delle organizzazioni a difesa dei diritti umani di estendere l’attività di monitoraggio a soggetti competenti, professionali e imparziali. Nella fattispecie, molti indicano che tale attività venga affidata al progetto MINURSO e questo è anche stato sostenuto in un emendamento votato a maggioranza all’interno della Commissione giuridica.

Il rapporto richiama diverse questioni relative anche alla situazione umanitaria e dei diritti umani nei territori del Sahara occidentale e, più preoccupanti ancora, nel Sahel, ove si accompagnano ad una crisi economica e sociale molto pesante, come pure nei campi dei rifugiati di Tindouf, in Algeria.

Queste questioni, che coinvolgono anche le attività delle associazioni della società civile, si innestano su un sempre più diffuso sentimento di frustrazione delle popolazioni coinvolte, molto forte soprattutto nelle giovani generazioni.

Il 29 aprile del 2014, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha esteso il mandato della missione MINURSO sino al 30 aprile del 2015, auspicando la prosecuzione di negoziati sotto l’egida del Segretariato generale delle Nazioni Unite e a questo la bozza di risoluzione si ispira. Ma contiene anche importanti richiami relativi alla questione dei diritti umani, con particolare riferimento, ma non solo, alle libertà di espressione, di associazione e di riunione, con riferimento alle garanzie per i giusti processi, agli atti di tortura e all’uso eccessivo della forza nei confronti di chi protesta.

Per rafforzare gli aspetti riguardanti i diritti umani, come relatrice del parere della Commissione giuridica, ho proposto una serie di emendamenti, approvati in commissione. Voglio sottolineare che queste modifiche o integrazioni al testo della risoluzione riguardano esclusivamente l’utilizzo di una terminologia giuridica più precisa o riportano alcuni fondamentali aspetti che riguardano i diritti umani, contenuti nel rapporto all’interno della bozza della risoluzione.

Grazie.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 1)

Sì, grazie Presidente.

L’emendamento propone di fatto di evidenziare la necessità di incoraggiare le parti a rafforzare il coinvolgimento dei sahraoui nei negoziati politici, sottolineando che questo è in linea con il principio, contenuto nella Carta delle Nazioni Unite, secondo cui gli interessi degli abitanti dei territori non autodeterminati devono essere preminenti. Questo è stato recentemente ricordato dallo stesso segretario Ban Ki-moon.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 2)

Con l’emendamento 2 si chiede di sostituire l’ultima frase da “senza attendere una soluzione politica” in poi con la frase “senza pregiudizio ad una risoluzione politica del conflitto sullo stato del territorio”. Questo per evitare interpretazioni divergenti, nel senso che si vuole richiamare in modo espresso l’obbligo delle autorità marocchine di garantire la piena applicazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, come stabilito dai pertinenti strumenti giuridici internazionali e nazionali.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 3)

L’emendamento vuole introdurre il principio della presunzione di innocenza e mira a utilizzare una terminologia giuridica più precisa, volta a evidenziare la necessità di distinguere tra criminali condannati e persone che si presume abbiano commesso un reato.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 4)

L’emendamento mira a rendere il progetto di risoluzione più preciso, sempre dal punto di vista del linguaggio e della chiarezza del messaggio. Per cui propongo di specificare che le raccomandazioni devono essere attuate in modo pieno e rapido, che le raccomandazioni che vengono prese in considerazione siano quelle che provengono da tutti gli organi competenti dei trattati sui diritti umani e delle Nazioni Unite basate sulla Carta e basate sul Trattato e che siano incoraggiati i soggetti a continuare a cooperare pienamente.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 5)

Viene rilevato nel rapporto che numerose organizzazioni internazionali hanno segnalato casi di arresti arbitrari e di detenzione dei sahraoui che hanno manifestato per l’indipendenza. Quindi credo che l’aggiunta della frase prevista nell’emendamento dia, come dire, evidenza ad un impegno esplicito da parte delle parti di cessare le pratiche di arbitrario arresto e di detenzione.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 6)

Grazie Presidente.

Proprio per l’equilibrio delle parti, com’era stato presentato l’emendamento 4, così pure per la parte che riguarda il Fronte Polisario e l’Algeria, si dovrebbe fare riferimento non solo alle procedure speciali del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, ma a tutti gli organismi dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 7)

Premesso che non c’era nessuna volontà di rompere l’equilibrio del livello di compromesso contenuto, la Commissione giuridica ha approvato questi emendamenti svolgendo la propria funzione che è quella di cercare di dare una maggiore precisione terminologica all’utilizzo del linguaggio contenuto nella risoluzione, e anche il contenuto di questo emendamento è finalizzato a questo scopo. Per cui c’è stata la richiesta in Commissione giuridica di aggiungere al termine “diritti umani” anche la specifica di “diritti economici, sociali e culturali” di coloro che vivono nei campi.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 8)

Credo che l’emendamento sia già esplicativo delle sue finalità.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 9)

Questo emendamento è stato richiamato, nei contenuti e nel sostegno, in diversi interventi da parte dei parlamentari all’interno di quest’aula a sostenere la necessità di indicare un soggetto imparziale, professionale e competente che tenga in considerazione la possibilità di monitorare gli accadimenti all’interno dell’area. Quindi, siccome un soggetto che ha queste caratteristiche oggi è MINURSO, l’emendamento chiede che vengano estese ai diritti umani e… ah, excuse me. È molto più semplice, nel senso che proprio nello spirito dell’emergenza in cui ci troviamo rispetto alle scadenze dell’aprile l’integrazione con i termini “pienamente e velocemente” credo che rispetti lo spirito delle sottolineature fatte dalla relatrice.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 10)

Grazie Presidente.

Ripeto il mio intervento di sostegno precedente, erroneamente già espresso, che va incontro anche ad interventi di sostegno di diversi parlamentari che stanno ad indicare la necessità di avere un soggetto che prosegua, intensifichi, l’attività di monitoraggio della situazione dei diritti umani. Oggi il soggetto competente e professionale in grado di agire in questo senso è MINURSO e quindi l’emendamento chiede l’estensione al MINURSO di queste funzioni. Grazie.

Maria Teresa BERTUZZI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13526, Emendamento 11)

Sono veramente imbarazzata, nel senso che non sto bene e quindi continuo a fare riferimento credendo di essere all’emendamento 11 e di fatto anche l’intervento precedente si riferiva a quello. Perdonatemi. Perdonatemi, ok? I testi erano a disposizione di tutti con le esplicazioni per cui credo di non aver tolto alcuna informazione a sostegno degli emendamenti. Quindi, la mia espressione di pensiero a sostegno dell’emendamento 11 è chiara e non ha alcun senso ripeterla.

Paolo CORSINI (Italia, SOC/SOC) 

(Doc. 13522 e 13530)

Grazie, Signor Presidente.

Devo innanzitutto manifestare un vivo apprezzamento per le due relazioni che oggi sono state esposte. Ho seguito direttamente l’elaborazione del testo del collega COSTA NEVES in Commissione cultura e devo testimoniare che è frutto di un confronto e di una discussione molto ampia e approfondita. Peraltro prenderei le mosse da una valutazione di carattere politico, e cioè le due relazioni del collega COSTA NEVES e della collega KARAMANLI di fatto sono complementari e convergenti. E questa condivisione di fondo credo sia molto rassicurante per quanto attiene alle prospettive dell’Europa nella quale crediamo.

Ci sono alcuni temi che si stagliano sullo sfondo della riflessione e delle proposte che qui ci vengono avanzate. Anzitutto, una lettura storica della vicenda europea: la vicenda europea approda alla definizione di una identità che è il frutto delle molteplici identità europee che sono venute stratificandosi nel tempo. E peraltro, tutte e due le relazioni veicolano e promuovono una nozione d’identità che mi pare largamente condivisibile. Un’identità e una nozione non solitarista dell’identità ma una nozione relazionale: l’identità europea, appunto, non è un dato chiuso - come abbiamo ascoltato prima - in una fortezza, ma è il frutto di un’apertura, di un incontro, di uno scambio. È un’identità composita.

Accanto a questa lettura storica, all’orizzonte di questa riflessione, sta la consapevolezza della crisi dello stato nazionale odierno, una crisi che rischia di produrre fondamentalismi, radicalismi, estremismi e xenofobia. Si aggira per l’Europa lo spettro di imprenditori politici dei nuovi razzismi possibili, non più il vecchio razzismo biologico, che nessuno professa perché se ne vergogna, ma i razzismi addizionali concorrenziali, differenzialisti e da pregiudizio eurocentrico.

Per cui i due relatori finiscono sostanzialmente per scrivere una grammatica e un dizionario della nostra contemporaneità, laddove soprattutto si misurano con le problematiche assimilazioniste, con il fenomeno del multiculturalismo e affrontano la grande questione dell’interculturalità. Siamo in una sede politica istituzionale. I due relatori non propongono semplicemente una riflessione che anderebbe approfondita da istituti di ricerca o in sede accademica, ma ci propongono, a mio avviso, alcuni guadagni estremamente significativi per quanto riguarda l’attivazione di buone pratiche e di buone policies.

A conclusione della relazione del collega COSTA NEVES, c’è soprattutto un aperçu de cinq typoligies, ossia un panorama di cinque tipologie in funzione della definizione dei principali campi di azione che derivano da una piena assunzione delle problematiche e delle pratiche interculturali intese come una strategia globale. Penso in modo particolare all’organizzazione dei gruppi minoritari, ai temi che investono il dramma di un mercato del lavoro che espelle soprattutto i giovani e che penalizza le fragilità che sono tipiche di molteplici settori sociali: i temi dell’accoglienza, dell’educazione, della stessa sicurezza che non può essere intesa semplicemente come un’attivazione di pratiche securitariste, ma che va accompagnata da scelte di integrazione, ai temi come dire, dell’urbanesimo, dell’organizzazione delle città, della governance e dell’affermazione dei diritti di cittadinanza.

Per cui, per concludere, ribadisco una valutazione del tutto positiva e auspico che i paesi del Consiglio d’Europa a cui queste risoluzioni, queste raccomandazioni, saranno consegnate, ne tengano conto perché qui ci sono indicazioni concrete che possono ispirare una politica convincente per i singoli paesi e per l’Europa del futuro.

Grazie.

Milena SANTERINI (Italia, NR/NI)

(Doc. 13522 e 13530)

Grazie.

Io mi congratulo con i due colleghi che hanno presentato queste risoluzioni, perché hanno riportato al centro dell’attenzione l’idea di dialogo interculturale e di integrazione che, come ha detto il mio collega CORSINI, sono complementari.

L’idea di dialogo interculturale è stata centrale nella storia del Consiglio d’Europa. Io vorrei ricordare qui che il Consiglio d’Europa è stato l’organismo pioniere in questo campo perché dalla metà degli anni ’80 – forse qualcuno lo ricorderà – molti di noi si sono ispirati appunto a questa idea, con progetti, ricerche e documenti. Il Consiglio d’Europa è stato il laboratorio di una visione, di un approccio appunto interculturale, il cui spirito io ritrovo oggi in questa risoluzione. Certo, oggi l’Europa è cambiata e non è finita l’esigenza di realizzare l’intercultura del XX secolo.

Perché la strategia interculturale è altamente politica? Perché comporta una dimensione di cambiamento. Come afferma il documento, è una trasformazione mutua, quindi chiede che la convivenza sociale tra persone di culture diverse sia fondata su alcune basi.

La prima è che ognuno di noi, ogni essere umano, è già multiculturale perché non esistono culture pure, ma sono tutte intrecciate fin dalle origini. Noi nasciamo già meticci, non lo diventiamo, con buona pace di chi crede ancora che esistano le razze o che le culture tradizionali siano sempre restate uguali. Chi ha paura dell’Islam, degli ebrei, dei rom, dei migranti, del vicino, sappia che non è con l’ossessione della diversità che costruiremo l’Europa, perché siamo tutti diversi anche se con uguali diritti.

Inoltre, questa identità composita e complessa deve essere negoziata: ognuno deve rinunciare a qualcosa per una convivenza pacifica, ma allo stesso tempo tutti hanno qualcosa da dare agli altri. Questo magari è scomodo per chi idolatra le culture. L’intercultura è un processo di cambiamento reciproco, indispensabile in società come le nostre dove viviamo fianco a fianco, tra diversi, dove la complessità è resa evidente dalle migrazioni, da Internet, dalla globalizzazione, dalla crescita delle seconde e terze generazioni.

Per questo l’intercultura è molto differente dalla visione che irrigidisce le culture, quella che le rende identità immutabili, le identità assassine, les identités meurtrières. Queste culture immaginarie, che non esistono, se sono separate non potranno mai dialogare.

Il dialogo interculturale invece si realizza tra persone che non rinunciano alla loro identità, ma la mettono in discussione. Per questo, è la premessa di una integrazione effettiva.

Questa strategia richiede – e questo è stato sottolineato nelle risoluzioni – scelte politiche nella scuola. È stato citato il caso di scuole dove vige una sorta di apartheid. Sempre di più nelle nostre scuole vengono concentrati da una parte i figli dei migranti, dall’altra gli autoctoni. Nell’urbanistica abbiamo la segregazione nei quartieri, nelle politiche dei servizi sociali e culturali, dobbiamo trovare accomodamenti ragionevoli. Per questo il tema educativo è centrale perché mette al centro un tema che dovremmo curare di più in questa Assemblea, ossia le competenze interculturali da dare ai politici, agli operatori, agli insegnanti.

Concludo dicendo che per contrastare il razzismo tra i giovani e il rifiuto dell’altro, che vediamo crescere con preoccupazione in Europa soprattutto a opera dei partiti xenofobi, non possiamo mai dare per acquisita la strategia interculturale, ma la dobbiamo costruire insieme.

Grazie.