IT15CR25

AS (2015) CR 25
Versione provvisoria

SESSIONE ORDINARIA 2015

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(Terza parte)

ATTI

Della venticinquesima seduta

Giovedì 25 giugno 2015, ore 10.00

DISCORSI PRONUNCIATI IN ITALIANO

Khalid CHAOUKI (Italia, SOC / SOC)
(Dibattito di attualità: La necessità di una risposta europea comune alle sfide in materia di migrazione)

Grazie, Presidente.

Io parlo dall’Italia e voglio solo dire innanzitutto che purtroppo, così come ci siamo abituati per troppo tempo ai numeri delle tragedie nel Mediterraneo, ai morti del 3 ottobre e alla recente tragedia che sembra – dico sembra - aver portato finalmente quest’Unione europea a dover reagire, ci stiamo abituando in questi giorni e in queste ore a un’indecorosa contrattazione su chi e quanti profughi dobbiamo condividere (centinaia, migliaia) tra i paesi che, penso, non sia degna di un’Unione europea che rischia davvero, in questa dinamica di contrattazioni come se parlassimo di merci e di prodotti e non di esseri umani, di portare la nostra Unione europea a perdere in modo definitivo il suo spirito di umanità che l’ha fatta grande nella storia.

Questo è l’aspetto saliente del mio intervento in questa sede così importante. Cosa leggeranno di noi nella storia di questa Europa così bloccata di fronte a un’evidente tragedia umana, che non riguarda semplicemente la Siria o l’Iraq ma che riguarda interi paesi e intere regioni dell’Africa? E allora, di fronte a questo, credo che anche la nostra Assemblea – e noi lo abbiamo anche detto in una riunione della Commissione politica a Roma – debba prendere un’iniziativa forte. Non possiamo rimanere come Assemblea del Consiglio d’Europa, in silenzio, indifferenti o limitarci solo a importanti comunicati che abbiamo fatto in passato e ai rapporti che facciamo.

Io penso e invito tutti a riflettere sull’immediata necessità di capire e indagare perché è fermo il processo di pacificazione in Libia, per esempio. Come ci siamo occupati di altri paesi nel Mediterraneo, penso che la Libia possa rappresentare oggi una realtà su cui anche la nostra Assemblea possa provare a portare un contributo di pacificazione. Questo è oggetto di una proposta che io stesso ho fatto insieme a numerosi colleghi.

Il secondo punto importante riguarda il fatto di non rischiare. E da questa sede lancio anche un allarme del rischio di tornare alle vecchie prigioni. Si parla ancora troppo solo di misure di sicurezza, di prevenzione, di protezione. Non vorrei che tornassimo all’approccio del passato che ci ha fatto pagare un carissimo prezzo, sia in termini di vite umane ma soprattutto anche di una non-gestione di fatto dell’immigrazione a livello europeo.

Guai a permettere che si ritorni davvero a costruire nuove prigioni in Italia, in Grecia e a Malta, come si sta dicendo anche in queste ore. Se si deve dare un aiuto alla frontiera meridionale dell’Europa, non è rendendola guardiano e polizia del Mediterraneo che si aiuta l’Europa o il sud del Mediterraneo, ma innanzitutto investendo sulla cooperazione tra paesi e soprattutto cercando di recuperare quello spirito di umanità che purtroppo l’Unione europea in questi mesi e in questi anni ha perso su un tema così cruciale come quello dell’immigrazione e dell’accoglienza dei profughi e dei rifugiati.

Milena SANTERINI (Italia, SOC / SOC)
(Dibattito di attualità: La necessità di una risposta europea comune alle sfide in materia di migrazione)

Grazie, Presidente.

Io ho sentito parlare in questo dibattito sull’immigrazione europea di contrapporre solidarietà a realismo, e io invece, vorrei dimostrare che non è così: anzi, le più lungimiranti ed efficaci politiche europee sono state sempre ispirate dalla solidarietà tra gli Stati e con le persone di altri paesi, mentre le soluzioni dettate dagli egoismi nazionali non hanno forza politica se non momentanea. Siamo increduli di fronte alla reazione di alcuni Stati europei che vorrebbero magari chiudere le frontiere negando così l’idea stessa di Europa che qui, al Consiglio d’Europa, cerchiamo di affermare.

Sia chiaro: non stiamo difendendo l’Italia, la Grecia, la Germania o l’Ungheria, ma vogliamo dire che chiudere le frontiere è una negazione dell’idea stessa di Europa che vogliamo costruire aperta e capace di non chiudersi negli egoismi nazionali. Ed è questo il momento di promuovere una vera agenda europea per l’immigrazione, e vorrei che il Consiglio d’Europa fosse di esempio per il Consiglio europeo che da oggi discute questo tema. Inutile sottolineare – l’hanno già fatto i colleghi – che a sopportare il peso dell’accoglienza, inoltre, non sono soltanto i paesi dell’Unione europea ma, lo abbiamo detto, la Turchia, il Libano, la Giordania e così via.

Vorrei sottolineare come scatenare l’allarme sociale può essere sfruttato politicamente. Gruppi e partiti che spesso non presentano soluzioni reali e concrete ai problemi, sanno creare un clima di paura e di pregiudizio. Si concentra tutta l’attenzione sui migranti per distogliere l’attenzione per esempio dalla disoccupazione. In realtà, vorrei dire, che l’emergenza immigrati innegabile presenta anche dei dati forse che non abbiamo considerato. Forse non tutti sanno che nell’ultimo anno i ventotto paesi dell’Unione europea hanno registrato un saldo pari tra domande d’ingresso per motivi di lavoro e l’aumento delle domande di asilo. Insomma, la risposta può essere solo una responsabilità condivisa. Dobbiamo rivedere il sistema di Dublino, ormai insufficiente, come ha chiesto la mozione del collega Nicoletti con altri, allargando le maglie perché molti casi potrebbero essere risolti con i ricongiungimenti familiari.

Stabilire nuove forme d’ingresso legale, visti umanitari, possibilità di chiedere asilo dall’estero, sponsorizzazioni che coinvolgano ONG, chiese e privati, che potrebbero ridurre i movimenti irregolari, desk umanitari dei richiedenti d’asilo già arrivati da alcuni paesi, come il Marocco, per esempio. Si tratta di persone che sono già uscite dallo Stato e potrebbero evitare l’ultimo tragitto, quello in mare.

Colleghi, la questione immigrazione mette alla prova il senso stesso dell’identità europea: se non torneremo alla fortezza Europa ma creeremo nuove politiche di cooperazione, noi avremo rafforzato l’Europa, non l’avremo indebolita.

Manlio DI STEFANO (Italia, NR / NI)
(Dibattito di attualità: La necessità di una risposta europea comune alle sfide in materia di migrazione)

Grazie, Presidente.

Gentili colleghi, io vi esorto a non lasciarci coinvolgere nello stesso ridicolo argomento che si tratta in questi giorni al Consiglio europeo. Chiunque abbia affrontato con serietà la questione dei flussi migratori sa che il problema non sono assolutamente le quote di divisione dei richiedenti asilo. Il problema vero, oggi, è l’accoglienza: come accogliere l’enorme numero di migranti che giungono sulle nostre coste? Allora vi riporto dei dati di Angelo Trovato, che è il Presidente della Commissione nazionale del diritto d’asilo in Italia, ovvero quelle commissioni che analizzano le richieste di asilo. I dati importanti sono due. Il primo dice che nel 2014, sui 150 mila sbarchi in Italia, soltanto 60 mila hanno fatto richiesta d’asilo. Cosa significa questo? Significa che la maggior parte di quelli che arrivano in Italia non hanno nessuna intenzione di essere “dublinati”, come si suol dire, di rientrare nella Convenzione di Dublino, perché hanno altro interesse, di andare altrove. Un altro dato importante è che il 53% soltanto di quelli che fanno richiesta, sono aventi diritto. Quindi, dopo un tot di anni, hanno questo permesso, hanno il diritto.

Allora dobbiamo analizzare la questione da un altro punto di vista. Ci sono due versanti che dobbiamo analizzare: uno è sicuramente quello del combattere le cause. Io trovo veramente la morte della democrazia e dell’Europa pensare che si possano chiudere frontiere, alzare muri, contrastare con armi la migrazione quando noi siamo la causa della migrazione. Io ho visto con i miei occhi la frontiera con la Francia chiusa a Ventimiglia e mi veniva da chiedere al governo francese: “Ma ci avete pensato quando avete buttato le bombe in Libia, causando la fuga di centinaia di migliaia di libici?”. Perché questa è la domanda che dobbiamo farci. Hanno preso il petrolio loro e hanno lasciato i barconi. Oggi, però, chiudono la frontiera. Allora ci vuole il coraggio di prendersi le proprie responsabilità: l’Europa ha fallito completamente nella gestione dell’Africa - che tra l’altro non doveva essere una gestione ma doveva essere semplicemente una collaborazione, una cooperazione - e oggi però non si vuole far carico dei migranti.

L’altro fattore su cui dobbiamo confrontarci è la vera divisione dell’accoglienza: ovvero, arrivano centomila migranti, vanno divisi prima della gestione della richiesta d’asilo per tutti i paesi europei, così che si possa alleggerire il carico che soltanto cinque paesi oggi hanno: perché oggi il carico è diviso in cinque paesi. Questo farà sì che davvero il migrante possa scegliere dove andare con la voglia - che noi tra l’altro dovremo trattare - di ricongiungersi con la famiglia, o anche per un ricongiungimento semplicemente linguistico. E allora, oggi siamo tutti preoccupati, io incluso, e giustamente, del fatto che qualche paese issi muri e qualche altro blocchi le frontiere, e qualcuno, come l’Ungheria, esca dall’Accordo di Dublino che per me va cancellato e riscritto da zero.

Ma io vi dico, e l’ho detto anche l’ultima volta che ho parlato in questa aula: oggi siamo preoccupati per questo, domani vedremo paesi abbandonare l’Europa, non partecipare più con la quota economica europea e quindi far fallire di fatto questa comunità europea che è una comunità europea delle banche e non dei popoli.

A buon intenditore poche parole.

Sergio DIVINA (Italia, NR / NI)
(Dibattito di attualità: La necessità di una risposta europea comune alle sfide in materia di migrazione)

Grazie Presidente,

Abbiamo sentito delle bellissime parole, condivisibili, però non si affronta mai il problema. Da italiano devo dire che l’Italia sta affrontando un fenomeno migratorio imponente mai visto nei secoli scorsi. Il problema di una presenza di migranti che va oltre un certo numero crea delle tensioni inevitabili. La prima, e forse la più semplice, è che chi è sotto la soglia della povertà si sente minacciato da altre persone che hanno gli stessi, se non maggiori, bisogni. Ed è un problema di stato sociale. Il secondo problema è anche la percezione di un’aggressione culturale vista la provenienza di queste persone e si possono avere delle reazioni incontrollabili.

Noi diciamo: l’Italia non ce la fa più. Questo lo dovete capire. I vostri paesi lo devono capire: l’Italia è arrivata al limite. L’Europa fa finta di non vedere il problema. Ieri abbiamo sentito le Nazioni Unite, le parole di Ban Ki-moon sono condivisibilissime, ma si continua ad aggirare il problema. L’Europa parla di solidarietà, ma dove sta questa solidarietà? L’Italia è divisa dall’Europa dalle Alpi. Le Alpi sono un confine invalicabile. Ci sono dei passaggi obbligati. Tanto l’Austria, quanto la Svizzera, tanto la Francia rimandano indietro. Non accettano. Richiamano Dublino, richiamano tutte le norme. La solidarietà di fatto non c’è. Ma io mi chiedo: possiamo affrontare in modo serio questo problema? Non con demagogia, non con il perbenismo, che non portano da nessuna parte.

L’Italia è davanti a un bivio. Cosa può fare? Non ha le risorse proprie per affrontare il problema. Potrebbe mettere in crisi l’Europa. Noi dovremmo dare il permesso di soggiorno a tutte le persone che sono in Italia e dopo ognuno vada dove crede. Ma è soltanto spostare il problema. Lo liberiamo dall’Italia ma se lo troverà in carico qualcun altro.

Sembra che in Niger si stia pensando a un grande sistema di accoglienza e di smistamento. Perché un’altra verità è che solo il 10% delle persone che arrivano nei nostri paesi ha poi il diritto di asilo. Sono rifugiati o hanno lo status di profughi. Il 90% sono quelli che definiamo migranti economici, hanno tutte le loro buone ragioni ma noi non riusciamo a ospitare tutti. C’è un’Europa in crisi e un’Italia in crisi che non sa dar risposte. In Africa nascono cento milioni di bambini al giorno che corrispondono alle popolazioni di Italia e Spagna messi assieme. Ma anche volendoci far carico di tutti questi nuovi nati, risolviamo i problemi dell’Africa? No. Creiamo un caos nei nostri paesi.

Per cui il nostro invito è: affrontiamo seriamente il problema senza demagogia.

Maria Edera SPADONI (Italia, NR/NI)
(Dibattito libero)

Grazie Presidente,

Lo scorso sabato, 20 giugno, a Roma si è svolto il Family Day: 400 mila persone in piazza contro un disegno di legge che disciplina le unioni civili per i conviventi e le coppie gay.

Il gruppo politico che rappresento, il Movimento 5 Stelle, si è sempre schierato a favore della tutela dei diritti umani senza alcuna distinzione: siamo quindi a favore delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Ci siamo sempre impegnati a difendere i cittadini contro ogni forma di discriminazione e ci dissociamo assolutamente da qualsiasi iniziativa discriminatoria.

In questi giorni si sta diffondendo in rete un video dell’intervento, fatto proprio durante questa manifestazione, di Kiko Argüello, iniziatore della Cammino neocatecumenale. Parte del discorso di Argüello dice: “Ci sono tanti casi di questo tipo” - riferendosi al femminicidio - “dicono che questa violenza di genere sia causata dalla dualità maschio-femmina ma per noi non è così. Quest’uomo” - si riferisce a un caso di cronaca nera in Svizzera, Matthias Schepp – “ha ucciso le bambine per un’altra ragione. Se quest’uomo è ateo nessuno gli conferisce l’essere come persona, ha solo una moglie che gli dà un ruolo: “Tu sei mio marito” e così lui si nutre dell’amore della moglie. Ma se la moglie lo abbandona quest’uomo può fare una scoperta inimmaginabile, perché questa moglie gli toglie il fatto di essere amato, e quando si sperimenta il fatto di non essere amato allora è l’inferno. Quest’uomo sente una morte dentro così profonda che il primo moto è quello di ucciderla e il secondo moto, poiché il dolore che sente è mistico e terribile, piomba in un buco nero eterno e allora pensa: come posso far capire a mia moglie il danno che mi ha fatto? Allora uccide i bambini.

In queste dure e assurde parole pronunciate con un microfono davanti ad una folla di persone emerge una chiara giustificazione a crimini gravi come l’omicidio, al di là del fatto che la vittima sia una donna o un uomo. Una giustificazione religiosa che ogni cattolico dovrebbe ripudiare e considerare un’offesa. L’omicidio non può e non deve essere giustificato in nessun modo. Tantomeno tramite un’inesistente motivazione di tipo religioso.  

In Spagna, di cui Argüello è cittadino, la Convenzione di Istanbul è entrata in vigore lo scorso agosto. Vorrei con l’occasione sollecitare lo Stato della Città del Vaticano ad aderire al più presto alla Convenzione di Istanbul. Al momento non è stata firmata, nonostante lo Stato della Città del Vaticano goda dello status di osservatore presso questa organizzazione. Tra l’altro, è osservatore anche delle riunioni del Comitato direttivo per l’uguaglianza tra le donne e gli uomini.

La Spagna, insieme alla Santa Sede, dovrebbe quindi esporsi sull’accaduto e discostarsi da tale irragionevolezza manifestata pubblicamente a Roma. Un discorso grave ed offensivo nei confronti dei veri credenti, delle vittime di violenza di genere e di tutte le vittime dirette ed indirette di questo grave crimine: l’uccisione di un essere umano.